Vivida la commozione nell’artista Vincenzo Munaro, mentre ripercorre praticamente tutta la sua vita in un lampo: “Nel lontano 1963 sono partito dalla Stazione per l’Alpago, lasciando il mio paese natio e ritornandovi oggi dopo quasi sessant’anni: era per me destino. Ho passato gli ultimi cinque mesi a Funes, per dipingere questi strappi affrescati, e, nei momenti di pausa in cui avevo il tempo per pensare, ero sempre pervaso dalla sensazione di non essere mai andato via. Sono ritornato grazie a mio fratello Gilio che, con impegno e dedizione e con importanti investimenti, ha ristrutturato l’antico borgo il Casal. Sono stati mesi intensi, in cui ho riflettuto molto su cosa rappresentare: il paese, l’architettura degli edifici, ma soprattutto i miei nonni paterni, che non ho mai conosciuto, i miei genitori, i ricordi della mia infanzia impressi nel dipinto “Radici” e “il Casal”, in tutto il suo splendore. Il mio successo e la mia notorietà li devo a mia moglie Maria, che dal lontano 1968 mi è stata accanto in ogni momento, sostenendomi e aiutandomi sempre. È grazie a lei che ho scoperto Grado, che da subito è diventata la mia isola adottiva e in cui ho aperto una galleria in Via Marina 33, oggi frequentata da persone di tutto il mondo e punto di riferimento per la cultura mitteleuropea. Un ringraziamento speciale va anche ai miei figli. Oggi la mia vita si divide tra Grado, dove trascorro circa otto/nove mesi all’anno, e Belluno, ma cerco di tanto in tanto di concedermi alcuni viaggi per incontrare appassionati o clienti che hanno fatto varcare alle mie opere i confini italiani ed europei. Tra i miei progetti futuri infatti, ci sarebbe la voglia di realizzare un secondo tour prima del mio ottantesimo compleanno, viaggiando anche oltreoceano. Ho da sempre avuto la passione per l’arte e, durante i miei studi al Liceo Artistico, nei pomeriggi mi recavo insieme al compianto Gianni Stiletto, noto artista di Tambre, in piazza San Marco dove, vicino al famoso Caffè Quadri, realizzavamo ritratti ad acquerelli ai turisti. La mia prima mostra a Grado è stata nel 1968 e a Belluno nel 1969, all’interno di una fioreria nella Galleria Radici, vicino alla Questura. In seguito ho aperto il mio primo studio dietro la Crepadona, per poi espandermi in Via Mezzaterra, all’interno della Galleria Michelangelo. Come ho più volte accennato, la mia più grande passione è sempre stata la scultura; diverse volte ho realizzato importanti opere e monumenti e oggi, ogni volta che mi occupo di progetti come quello di Funes, sento il desiderio profondo di ritornare a modellare e scolpire. Nel futuro, dunque, vorrei dedicarmi completamente alla scultura, e spero che il momento per farlo davvero sia arrivato”.
Ma chi è Gilio Munaro: Gilio Munaro nasce nel 1943 al “Casal”, precisamente in cucina, com’era usanza all’epoca. Nel 1954 la madre, lungimirante, lo iscrive all’istituto dei Padri Giuseppini di Don Murialdo affinché possa studiare in un ambiente che gli garantisca buone prospettive per il futuro. Undicenne, Gilio lascia la famiglia tra le lacrime, per recarsi prima a Roma, poi a Viterbo e infine a Torino, dove termina gli studi. Nel 1962, dopo il diploma, concorre per entrare negli allievi della FIAT in qualità di progettista meccanico, dove rimane per vent’anni, facendo carriera fino a diventare funzionario dirigente del servizio “tempi e metodi”. Lascia la FIAT nel 1982 per lavorare in un settore completamente nuovo, quello della carta, poiché un suo collega aveva ereditato il Cartificio di Moggio Udinese ed era alla ricerca di un direttore tecnico. Nel 1997 matura la pensione e si lancia in un nuovo progetto: apre lo stabilimento Metalpack a Gorizia, tutt’ora produttivo e presente sul mercato, in cui vengono prodotti carta e film plastici metallizzati. Nel 2010 riprende la collaborazione con le Cartiere Ermolli e, in qualità di Presidente, modernizza le linee produttive; riconoscente, la comunità di Moggio Udinese gli conferisce la Cittadinanza Onoraria. Negli ultimi dieci anni si è dedicato alla realizzazione di un altro sogno, la sistemazione della casa natia a Funes d’Alpago, un tempo abitata da più di quaranta persone, ma ora deserta a causa dello spopolamento del paese. È un impegno che ha richiesto la restaurazione dell’intero “Casal”, ma è stato portato a termine con soddisfazione da Gilio e dal fratello e pittore Vincenzo, che ne ha arricchito la facciata con otto suggestive opere. Il desiderio di Gilio è quello di far rivivere un paese di montagna, che ha subito negli ultimi decenni un lento spopolamento.